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PENSIONI 2027: IN ARRIVO TRE MESI DI LAVORO IN PIÙ. IL GOVERNO PENSA ALLO STOP, MA IL COSTO DA 1 MILIARDO PESA SUI CONTI. CHI PAGHERÀ?

  • Immagine del redattore: Debora De Patto
    Debora De Patto
  • 10 ago
  • Tempo di lettura: 2 min

di De Patto Debora

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Il 2027 segnerà un nuovo capitolo nella questione pensionistica italiana: l’automatismo che lega l’età pensionabile all’aspettativa di vita – introdotto dalla riforma Fornero nel 2011 – prevede un aumento di tre mesi sui requisiti per andare in pensione. Una misura che, salvo interventi politici, farà salire la pensione di vecchiaia da 67 a 67 anni e 3 mesi, e quella anticipata a 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne.



Come funziona l’adeguamento


Il meccanismo si basa sui dati Istat sulla speranza di vita aggiornati ogni due anni: se la vita media aumenta, cresce di conseguenza anche il tempo da trascorrere al lavoro. Il rilevamento di marzo 2024 ha confermato che dal 1° gennaio 2027 i requisiti pensionistici subiranno un incremento di tre mesi. L’obiettivo dichiarato è garantire la sostenibilità del sistema previdenziale, ma le ricadute sociali non sono trascurabili.



Chi rischia di rimanere senza pensione


L’aumento colpirà anche circa 44.000 lavoratori che, tra il 2020 e il 2024, hanno aderito a piani di uscita anticipata dal lavoro (isopensioni, contratti di espansione, fondi di solidarietà bilaterali), pianificando la pensione con le regole attuali. Per loro, lo slittamento significherebbe trovarsi senza stipendio e senza assegno previdenziale: una situazione che ricorda la vicenda degli “esodati” della riforma Fornero.



Il nodo dei costi


Bloccare l’adeguamento avrebbe un prezzo stimato di circa un miliardo di euro solo per il biennio 2027-2028. Un importo che, seppur contenuto rispetto alla spesa pensionistica complessiva (prevista a 365 miliardi nel 2027), si aggiunge a un trend già in crescita: secondo le proiezioni, la spesa salirà fino al 17,1% del PIL entro il 2040, rimanendo su livelli elevati almeno fino al 2043.



Le ipotesi del Governo


Come riportato da “La Repubblica”, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha fatto capire che l’esecutivo valuta lo stop, probabilmente da inserire nella Manovra 2026, con copertura attraverso uno scostamento di bilancio concordato con Bruxelles. Ma la strada non è semplice: servono l’ok del Parlamento e motivazioni eccezionali, in un quadro di rigidi vincoli europei sul deficit.



Oltre il 2027: una riforma strutturale


Gli esperti avvertono che il vero problema non è l’adeguamento imminente, ma la sostenibilità a lungo termine del sistema. Tra le proposte, si parla di una maggiore flessibilità in uscita, prevedendo:

  • Flessibilità compensata: dare la possibilità di andare in pensione prima dell’età prevista, ma con un assegno più basso calcolato in base agli anni di anticipo.

  • Corridoi di uscita più ampi: offrire più opzioni per lasciare il lavoro, tenendo conto di chi fa lavori pesanti o ha problemi di salute, così da non avere una sola regola uguale per tutti.



Uno sguardo all’Europa


Altri Paesi si muovono nella stessa direzione: la Germania ha adottato meccanismi simili, mentre la Francia è alle prese con forti proteste per l’aumento dell’età pensionabile. In Italia, però, la complessità normativa accumulata negli anni rende ogni intervento più delicato e potenzialmente di lungo impatto.


Bloccare l’aumento del 2027 potrebbe essere solo una soluzione temporanea, perché senza una riforma più ampia il problema tornerà presto.

 
 
 

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